Cities of soul
Testi critici e recensioni
La compiutezza artistica di Virginia
di Umberto Croppi
Presidente Quadriennale di Roma
Febbraio 2018
Quello dell’artista non è semplicemente o necessariamente uno status: chi è l’artista se non colui (colei) che si espone, che mostra la sua personalità senza pudori, interpreta il tempo, fa risuonare il suo ambiente? Non importa quando questi caratteri si manifestano, la sua qualità si apprezza nel momento in cui si mette in gioco, in cui si misura con l’osservatore, ne solletica l’empatia.
La sua solidità è data dalla coerenza nell’afferrare gli attimi e riprodurli sotto forma di archetipi.
E l’arte di Virginia Aloisio non si è posta il problema di compiacere un establishment, la sua forza è tutta nella volontà di esprimere la propria percezione della realtà, rielaborata secondo un sentire chiaro, riconoscibile in ogni suo tratto, con una perizia naturale, spontanea; i suoi lavori testimoniano una vasta cultura dell’immagine, con le radici ben salde nel nostro Rinascimento, senza tuttavia che l’autrice debba pagare pegno a una scuola. E questo la rende profondamente italiana e, al tempo stesso, universale.
L’Italia è la terra in cui lo spirito urbano si è formato nei secoli, lo spirito della convivenza e della forma dell’abitare. Uno spazio definito che, appunto, stabilisce un limes, un confine, segna un dentro e un fuori. Ma è un confine in continua rielaborazione, spazio fisico e metafisico: da Calvino a de Chirico e Boccioni, non sono solo l’architettura, la sociologia, la filosofia a definirlo ma, come spesso accade, sono le arti a coglierne l’essenza.
Perfino la prospettiva è un regalo che l’arte italiana ha fatto alla cultura: nasce per definire su di un piano la tridimensionalità di una città, ma è anche un concetto che esprime ordine, progressione, visione.
L’astrazione delle tavole di Virginia è il distillato di tale percorso, rende evidente l’essenziale di quanto la vita dell’uomo ha depositato nella sua storia collettiva. Dai suoi quadri ci si affaccia, come da un’apertura inattesa, da una finestra, da un oblò sopra un mondo fatto di relazioni, di sentimenti, di voci, di scambi. Il mondo degli uomini e dell’umanità, della singolarità e del molteplice.
Non c’è solo questo nella sua produzione, la stessa capacità di cogliere e sintetizzare la forma la esprime anche nella figura, ma è la veduta d’insieme, l’affastellamento non casuale di colori che rappresenta il suo tratto distintivo.
Sono composizioni, le sue, che si lasciano cogliere nella loro interezza, come insieme organizzato di elementi in cui, come in ogni paesaggio umano, è il suo complesso che ne configura il carattere, l’atmosfera.
Così, appunto, Calvino: «Anche le città credono d’essere opera della mente o del caso, ma né l’una né l’altro bastano a tener su le loro mura. D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda».
Che siano gli sguardi zenitali o le quinte frontali quelle che l’autrice forma sulla tela sono il frutto di una ri-costruzione di immagini che evoca momenti impressi sulla retina di ogni osservatore, riposti in uno scaffale di memoria, pronti per essere richiamati e messi a fuoco.
È dunque una pittura evocativa, capace di attivare strati profondi di chi vi si pone davanti, senza nessun cedimento alla decorazione o all’utopia, un punto di vista essenziale che non può che essere condiviso e quindi capace di provocare emozione.
C’è nelle composizioni di Virginia una freschezza tutt’altro che ingenua, indice di una compiutezza artistica che ha ora la possibilità, direi quasi il dovere, di confrontarsi con un pubblico più vasto, di entrare a pieno titolo nei circuiti internazionali dell’arte.
L’invito ricevuto dalle gallerie cinesi, da un paese che si sta aprendo con curiosità e interesse crescenti all’arte contemporanea, è insieme un meritato riconoscimento e un’occasione per l’artista italiana di dare un nuovo corso al suo lavoro; la continuazione di una ricerca pluridecennale e un giro di boa per la sua maturità di artista e di interprete del nostro tempo.
Le città dell’anima sono spazi densi e fluidi al tempo stesso
di Valentina Punzi
Dottore di Ricerca in Asia Orientale e Meridionale
Università Orientale di Napoli
Settembre 2018
Virginia e io ci siamo incontrate per un profondo interesse verso la Cina e l’Asia. Se io ho scelto la strada delle parole per le mie ricerche etnografiche in questo Paese, lei percorre quella delle luci e dei colori che illuminano i sentieri di città cinesi, indiane e del sudest asiatico in un linguaggio di coinvolgimento emotivo e rielaborazione artistica che parla delle anime delle città non meno che dell’animo umano.
Le sue opere rendono visibile lo spazio inconscio in cui ognuno di noi elabora l’esperienza multisensoriale di immersione nello spazio urbano.
In questa comunicazione osmotica tra dentro e fuori fluiscono sensibilità e percezioni diverse che si incontrano e hanno una comunicazione, appunto.
Il colore deciso e materico rende fluido l’incasellamento delle finestre e collega emotivamente le vite che possiamo immaginare dietro i vetri e sotto i cieli crepuscolari, verso cui convergono palazzi ondeggianti.
Il colore sconvolge la forma e scompone le geometrie rigide di qualsiasi pianificazione urbanistica: fluttuazioni emotive mettono in movimento lo spazio e ne spezzano le linee rigide. L’impatto dei colori è così forte che reclama un ripensamento del piano di realtà della forma: la gamma cromatica che si compone sulla tela offre un respiro oltre i limiti costrittivi della linearità dei palazzi, li rompe nella loro originale forma razionale per ricomporli nel colore che parla alle emozioni.
Le opere di Virginia non si fermano alla fruizione e all’apprezzamento estetico, sono un invito a riflettere sulle nostre città dell’anima, sulle strade e le folle che noi abbiamo attraversato e che hanno invaso i nostri sensi, su quello sbalordimento di suoni e colori che rimescoliamo in nuove emozioni.
“And I woke up to the sound of the wind of a city that I don’t know. Tomorrow I will walk on these streets” per me un’opera profondamente evocativa che traspone su tela le immagini sfocate del mio primo viaggio in Cina nel 2000, quando per la prima volta la mia immaginazione si incontrò con la realtà di una Paese enorme, complesso, in trasformazione incessante. La rappresentazione frontale degli edifici, che caratterizza molte delle sue opere, qui cambia: sembra concepita come uno sguardo dall’alto di un edificio su un cantiere in corso, incastrato tra edifici più bassi. Quest’opera coglie quell’ora dell’alba fatta di calma solitudine e spazio interiore, in cui è possibile connettersi più intimamente con lo spazio urbano e posticipare l’ostentata anonimia del giorno che segue.
Virginia sembra volerci convincere che in città sempre più frastornanti, sporche, e affollate i nostri spazi interiori possano trovare una dimensione di esistenza. Secondo Calvino “le città invisibili sono un sogno che nasce dal cuore delle città invivibili”: questi scenari onirici sono quelli che Virginia progetta sulla tela e condivide attraverso suggestioni cromatiche di neon e albe, ricordi di fragranze di mercati delle spezie a Madras e tossicità di smog nel dedalo di vicoli del quartiere antico di Delhi, riflessi di eclissi lunari sul mare giallo e luci sul fiume Huangpu: un caleidoscopio di immagini che attingono a realtà esperite nel corso dei suoi molti viaggi ma che sono restituite in modo del tutto personale, attraverso i suoi occhi, che in Asia hanno fotografato non solo la magnificenza dei luoghi ma anche il dolore e l’emarginazione della gente.
Il cielo, casa tra le case, partecipa a questa percezione emotiva dello spazio abitato, si commuove in Tears in the Heaven ma, si libra anche spensierato. Questa presenza di cielo, chiaro, cupo, colorato ma mai solo riempitivo di uno spazio vuoto, definisce l’intensità e l’atmosfera di ogni opera.
Seguendo il consiglio del padre, preoccupato che la strada dell’arte fosse troppo incerta, Virginia intraprende la carriera di avvocato. Allo stesso tempo, continua a coltivare la sua passione per la pittura, conciliandola con quella per la difesa dei diritti delle donne, dei minori e delle persone deboli. Lavora per vent’anni al fianco di Tina Lagostena Bassi, il primo avvocato a occuparsi della difesa delle donne nei reati di stupro in Italia.
Riflettendo sull’esperienza biografica di Kandinskji e Matisse, entrambi avvocati, Virginia concepisce la complementarietà del suo percorso di vita, fino a quando decide di dedicarsi interamente all’arte. Frequenta dunque un corso presso l’accademia internazionale di Roma e le sue opere sono esposte in tantissime mostre, tra queste una viene presentata anche alla biennale internazionale di Roma.
Le città dell’anima sono spazi densi e fluidi al tempo stesso, in cui Virginia elabora il suo percorso, accogliendo sentimenti in apparenza contrastanti, tenuti insieme dal colore, dall’urgenza di un’espressione emotiva che trabocca, e più di ogni altra cosa, legati dalla fiducia nell’universalità dei sentimenti umani.
Lo spazio dei sentimenti come città fantastica
di Stefania Severi
Critico d’Arte della “Association International des Critiques d’Art”
Maggio 2001
Riguardo agli ultimi lavori di Virginia Aloisio si può sicuramente affermare che ci troviamo difronte a un percorso di ricerca organico, perseguito con estrema serietà nell’intento di far coincidere la fase ideativa con quella esecutiva.
È evidente, infatti, che queste tele nascono tutte da una matrice comune che va ricercata da un lato in un approccio visivo che si fonda su principi gestalgici, dall’altro nella genesi profonda dell’idea prima, la quale ha origine in una personale concezione degli spazi emotivi. I dipinti risultano, pertanto, la felice fusione di un approccio psicologico che è pertinente sia all’idea sia alla sua trasposizione su tela. L’origine del percorso pittorico come luogo dei sentimenti.
Questi, prima si affastellano e dialetticamente convivono nell’inconscio per poi concretizzarsi sulla tela in una specifica e personalissima dimensione, Ognuno di questi sentimenti sembra individuare la propria collocazione in una dimora.
E tutte queste dimore dell’anima, ognuna col proprio sentimento racchiuso, vanno a collocarsi l’una accanto all’altra. Case e case, o caselle, quindi, dove il sentimento si concretizza, prende consistenza per poi dialogare con l’altro; lo spazio dei sentimenti si configura come città fantastica dove non c’è spazio se non per i sentimenti stessi.
Ecco dunque le città utopiche dell’Aloisio che nascono non già da una concezione speculativa o ideologica bensì sentimentale. Le case di questa città vivono e palpitano, occhieggiano dalle finestre, saturano tutti gli spazi “vuoti”, perché non sono case che racchiudono gli uomini ma i loro sentimenti così che anche il cielo è casa tra le case. La risoluzione visiva di tale percorso immaginifico ed emotivo è, come avviene sempre per i sentimenti, affidata prevalentemente al colore. È il colore, infatti, che arrivando direttamente alla psiche la con – muove. Non c’è linea di confronto in queste case – caselle perché la linea, racchiudendo il sentimento, lo congelerebbe nell’astrazione intellettuale. La linea, dove si coglie, emerge spontaneamente dall’immagine, collegando tra di loro le “case” quasi a suggerire il riverberare da un sentimento all’altro. La dialettica tra i sentimenti è decisamente dinamica come esplicitano i percorsi sottesi alla composizione, che suggeriscono talora una compenetrazione degli spazi che affonda in meccanismi visivi di matrice futurista. Già, perché le città sentimentali della Aloisio sono sussulto ed emozione, impeto e slancio. È una concezione sostanzialmente positiva del vivere anche se talvolta il sentimento sembra espandersi ed occupare gli spazi che pur dovrebbero essere destinati alla ragione. Ma è poi un male?
I colori assumono una importanza fondamentale in queste opere, per le motivazioni accennate, e la loro gamma tende a variare in rapporto al “sentimento di fondo” sotteso in ciascuna opera. E questo è legato all’idea guida di ciascun dipinto che nasce su una suggestione musicale che in questi ultimi tempi è perfettamente individuabile nella musica degli U2, gruppo irlandese tra i più importanti degli anni 90.
Ma perché la Aloisio, calabrese di origine e residente a Roma, si ispira proprio agli U2?
L’artista, è una donna di contrasti, è donna “divisa” come quasi tutte le donne ed in particolare quelle del Meridione, divisa tra Sud e Nord, non solo in accezione territoriale ma in accezione di continuità e rottura tra valori ancestrali e valori futuribili, tra il sole e la nebbia, tra la campagna e la fabbrica, tra il ruolo materno e il ruolo professionale, tra la pittura e l’avvocatura, che per anni è stata la sua professione.
Come rilegare le fratture, come ricomporre l’unità, non certo con le idee spesso antitetiche, bensì col sentimento. Ecco, le città sentimentali della Aloisio sono una ricerca di ricomposizione attraverso i sentimenti senza troppe illusioni – infatti in queste città manca qualsiasi traccia di idealismo – ma come unica via di salvezza.
Le città sentimentali rappresentano l’ultima organica ricerca dell’Aloisio che tuttavia, in passato, si è dedicata anche alla figura.
Cosa lega quel passato al presente?
Una sottile traccia onirica che fece avvicinare i precedenti lavori alla poetica di Chagall.
E il futuro?
Difficile presagirlo, forse una musica diversa.
Ma è bene che la ricerca, al momento, sia così puntuale e circostanziata, indice di una volontà di penetrare a fondo nelle cose, di considerare sotto i molteplici punti di vista e trarne tutte le possibili conseguenze. Solo quando avrà considerato “esaurita” questa ricerca, potrà rivolgersi ad altro. Tale dimensione ciclica, del resto, l’accomuna a Mario Schifano che, a metà degli anni novanta, ebbe modo di vedere i suoi lavori e di incoraggiarla.
Del resto, a voler trovare a tutti i costi dei “maestri” nell’opera della Aloisio, dovremmo attingere a Paul Klee ed Umberto Boccioni, per il passato sia pure più remoto, e a Schifano ed Emilio Tadini per il passato prossimo. A Tadini in particolare, l’accomuna la concezione sentimentale degli edifici, e come singoli e nel loro insieme.
Tornando dunque a queste città, compresse, in bilico tra il verde della pianura irlandese e il rosso del sangue che ancora si versa sulle sue strade, tra il colore “sporco” come lo sono sporche tutte le guerre e un anelito al viola come momento di introspezione lirica. Una dimensione poetica della città prevale in “Belfast Child”. In “A different Kind of blu” è discretamente presente il blu nelle gamme del celeste all’oltremare ma sempre in equilibrato dialogo soprattutto con i primari giallo e rosso. “Secret garden” è tutto vibrante, a racchiudere i sentimenti come in tante aiuole in una visione fantastica tra piano verticale e piano orizzontale. In “If God will send his Angels” i sentimenti esplodono, si fanno grattaceli ondeggianti. In “When love comes to town” le dimore emozionate si definiscono con maggior chiarezza e si compongono più armonicamente. Ma chiarezza e armonia sono solo una faccia del sentimento, il prossimo palpito sarà certamente diverso.
Dipinge esattamente come è
di Marcelle Padovani
Presidente Stampa Estera – articolo pubblicato su “L’observateur”
Marzo 1996
Dipinge esattamente come è.
Le sue tele le rassomigliano tanto che potrebbero essere impudiche: gracili e sicure, emotive e ragionate, all’immagine di chi, sicuro di sè ma insicuro degli altri, meridionale di origine e di vocazione, ma avvocato di professione, trapiantato in una capitale burocratica e feroce, non riesce a dimenticare i paesaggi infiniti e i sogni problematici dei ragazzi del Sud.
Non fugge dalla realtà Virginia Aloisio, anche se la realtà può rivelarsi deludente: ma i “durs pépins de la réalité”, i duri granelli della realtà, come diceva il poeta Raymond Queneau, non le vieteranno mai di saper vivere.
È così che nei suoi cieli azzurri onirici alla Chagall d’un colpo si respira il caldo delle sabbie calabresi e l’umido delle notti del Sud.
È così che le sue donne attente e misteriose, quasi offerte allo sguardo, esprimono soprattutto il desiderio di chi vuole restare una bambina.
Non una bambina irresponsabile. Ma una donna giovane e bella che ha scelto di spalancare gli occhi.
Eternamente, serenamente, ironicamente.